Sono in corso le grandi celebrazioni del 700° anniversario della sua morte.
Noi non diremo la nostra sull’opera del poeta, ma ci limitiamo a segnalare come è apprezzato all’estero e come il suo nome sia portatore di italianità.
Italiano ma universale e tale riconosciuto come fondamento stesso di tutta la cultura che chiamiamo occidentale.
In Francia è già uscita nelle librerie, agli inizi del 2021, la traduzione in Francese di “Dante”, di Alessandro Barbero. L’editore è Flammarion e il titolo in francese è “Dante. La vraie vie de Dante 1265-1321”.
Recensioni e critiche, positive, sono apparse su periodici importanti e diffusi come Le Figaro Magazine e Le Point.
In questa sua opera l’autore non osa nuove interpretazioni o commenti su versi isolati, ma colloca Dante nel suo tempo, seguendo meticolosamente le sue diverse età, dall’infanzia alla maturità fino ai suoi ultimi anni (in parte avvolti nel mistero).
Passa davanti a noi la sua educazione sentimentale, Beatrice – conosciuta da bambino – e re-incontrata a 18 anni, per caso, quando questa aveva 17 anni, era già sposata, e mai più rivista se non nel sogno.
Incontriamo la sua vasta famiglia, il vicinato, siamo informati sul matrimonio (combinato, quando lui aveva solo 12 anni), gli affari, l’attività politica, le amicizie, l’esilio, gli studi e la biblioteca.
La vita di Dante è raccontata attraverso i diversi aspetti della sua personalità, che emerge dalle tracce lasciate negli archivi, dando un fondamento storico a quello che sembra quasi un romanzo. Scopriamo un Dante soldato con armi e armature, un Dante politico, un Dante cortigiano durante il suo lungo esilio.
Dante è immerso nel Medioevo, ha una sua concezione del mondo e partecipa attivamente alla vita politica della sua città fino ad arrivare alla sua rovina: l’esilio. Il testo della condanna, pronunciata nel 1302, non lascia indifferenti: “Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estorsive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5.000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia) e se lo si prende, al rogo, così che muoia”. Infatti, per sua fortuna, nel momento della condanna non era a Firenze, ma a Roma, dove si trovava come ambasciatore.
Il vero motivo della condanna e del relativo esilio fu semplice: Dante ebbe la sfortuna di appartenere al partito dei guelfi bianchi, perciò fu vittima di giochi politici più grandi di lui. I guelfi neri, preso il governo di Firenze, si vendicarono su tutti coloro che erano stati contro di loro e Dante ne faceva parte.
Nel mezzo del cammin della sua vita viene cacciato dal suo luogo natale; non tornerà più nella sua amata Firenze, ma scriverà la “Commedia”.
Paradossalmente, l’esilio lo trasformò da fiorentino in “cittadino d’Italia”. Perché dopo Roma, il poeta iniziò un lungo girovagare, coprendosi uomo di corte presso vari signori magnanimi (i Malaspina di Lunigiana, gli Scaligeri di Verona, i Da Camino di Treviso, i Da Polenta di Ravenna) che ospitavano personalità di cultura per ricevere in cambio lustro e prestigio.
Dante, dopo la condanna, si ritrovò a dover assoggettare ad altri la sua volontà e la sua attività creativa: fu un periodo difficile per lui, dopo essere stato un fiero intellettuale del suo libero Comune. Ma per lui Firenze rimarrà per sempre un capitolo chiuso.
Dopo varie corti illustri che lo hanno ospitato, il poeta, nell’ultimo periodo della sua vita, probabilmente dal 1318, fu ospite a Ravenna di Guido Novello da Polenta. Il soggiorno ravennate gli offrì quell’oasi di pace necessaria per la stesura dell’ultima delle tre cantiche: il “Paradiso”.
Si è spento, a causa di una febbre malarica, nel settembre del 1321 durante un viaggio verso Venezia in qualità di ambasciatore.
Fortemente scosso dall’improvvisa morte dell’illustre ospite, Guido Novello che già da tempo aveva l’intenzione di cingere il capo di Dante dell’alloro poetico, gli rese omaggio con solenni funerali nella basilica di San Francesco, dove venne seppellito.
La tomba di Dante – un monumento funebre eretto presso la suddetta basilica – fu costruita tra il 1780 e il 1781 ed è a forma di tempietto neoclassico coronato da una piccola cupola. Sull’architrave sovrasta in latino la scritta: “Dantis poetæ sepulcrum”.
Solo nel 2008, la Commissione Cultura di Palazzo Vecchio di Firenze ha votato per la piena riabilitazione del “sommo poeta”.